Privacy Policy Dalla pietra all’atomo. In cento secoli di prove e di errori l’Homo Sapiens è arrivato alla conoscenza e alla manipolazione dell’atomo (II Parte)
Gian Gaetano Aloisi Vol. 11, n. 2 (2019) Storia

Dalla pietra all’atomo. In cento secoli di prove e di errori l’Homo Sapiens è arrivato alla conoscenza e alla manipolazione dell’atomo (II Parte)

Il cammino che ho programmato è ancora molto lungo; dopo lo sviluppo dell’agricoltura e della ceramica, con l’avvicinamento alla fase storica, l’orizzonte si è allargato e le notizie provenienti dall’archeologia sono diventate copiose. La comparsa inoltre, intorno al IV millennio a.C., dei testi di scrittura cuneiforme in Mesopotamia e dei geroglifici in Egitto e la nascita nell’VIII secolo a.C. della scrittura alfabetica nella Grecia classica, hanno fatto aumentare enormemente il materiale da esporre rendendolo incompatibile con la limitatezza degli spazi riservati a questa esposizione. Spero quindi di essere perdonato se per esigenza di brevità racconterò solo una piccola parte di quello che l’Homo Sapiens ha sviluppato dal V millennio a.C. fino alla creazione dell’impero persiano, la prima autorità statale d’Oriente che avviò i contatti e i contrasti con le città stato della Grecia classica.  Parlerò delle realizzazioni materiali e culturali e delle innovazioni avvenute nella Mesopotamia e nei territori circostanti dal periodo post-ceramico fino alla creazione dell’impero di Ciro il Grande e della comparsa delle tecniche metallurgiche, con un accenno all’inizio della rinascita della Grecia all’inizio dell’VIII secolo a.C.

Mesopotamia

Nell’esaminare le innovazioni introdotte dall’Homo Sapiens dal 10.000 a.C. fino alla comparsa dell’impero persiano di Ciro il Grande (VI secolo a.C.) nella regione bagnata dal Tigri e dall’Eufrate, si potrebbe affermare che si verificò una fortunata combinazione di uomini giusti, nei luoghi giusti, nel momento giusto per la nascita della civiltà; qualche studioso infatti chiama questa regione la “Culla della Civiltà”. Quello che accadde altrove, anche in un paese come l’Egitto dove nacque una civiltà straordinaria che durò tre millenni, fu, secondo gli storici, successivo alle novità avvenute in Mesopotamia. Tuttavia il fatto di non estendere l’analisi storico-culturale a quanto è successo in Egitto è legato solo alla dimensione dei miei spazi. Nella Mesopotamia, regione nel nord-est della “Mezzaluna Fertile”, che comprende anche il Libano, la Palestina e il delta del Nilo, due millenni dopo l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame comparvero straordinarie culture ceramiche. Nelle località di Halaf, Hassuna e Samarra, nord Mesopotamia, comparve la lavorazione artigianale della ceramica dipinta che Olivier Nieuwenhuyse chiamò la seconda rivoluzione neolitica. Nei millenni successivi la regione fu la base di ulteriori sviluppi tecnici. Con un processo lento e pacifico arrivò la cultura Ubaid, che si sviluppò tra il VI e IV millennio a.C.; la ceramica continuò ad essere una attività importante e fu perfezionata dall’invenzione del tornio lento per creare oggetti pregiati per la decorazione dei templi, dei palazzi dei re e delle abitazioni del popolo. Nel V millennio inoltre ebbe inizio in Mesopotamia una nuova “industria”: la metallurgia. In quella regione infatti incominciò l’età del rame, il calcolitico; gli artigiani diventarono abili nel costruire forni per fondere il rame e produrre oggetti versando il fuso in apposite forme.

 

 

La cultura Ubaid si allargò verso sud raggiungendo il territorio dove, intorno al 4000 a.C., arrivarono i Sumeri, un nuovo popolo che proveniva dalle montagne del nord-est secondo alcuni studiosi e dal Golfo Persico secondo altri. Essi si mescolarono, apparentemente senza conflitti, alle popolazioni semitiche presistenti e apportarono innovazioni fondamentali per l’evoluzione dell’umanità. La cultura a cui i Sumeri hanno dato inizio prende il nome dalla loro prima capitale: Uruk; questa è la prima città progettata e costruita al mondo. L’urbanizzazione infatti è la nuova rivoluzione realizzata da questo popolo che cambierà per sempre il modo di vivere dell’uomo. I Sumeri furono coscienti di quanto accadeva in quel momento e i loro testi in scrittura cuneiforme forniscono l’equazione: civiltà = città = regalità; le parole di una loro divinità ci fanno capire quale era il loro progetto di progresso “Io desidero por fine alla confusione della mia razza umana, per Nintu desidero fermare l’abbruttimento delle mie creature, io desidero che il popolo esca fuori dalle sue caverne, vengano costruite le loro città, desidero che in esse l’ombra sia gradevole” (1). Nintu è la dea madre dei Sumeri. Tutti gli studiosi concordano nell’affermare che Uruk fu la prima grande città apparsa sul pianeta intorno al 3500 a.C. (2). Essa si sviluppò velocemente e le sue dimensione, intorno al 2900 a.C., erano doppie di quelle dell’Atene del 500 a.C. e la metà della Roma imperiale; la sua cinta muraria, di circa 9 km, racchiudeva un’area di 5,5 km2 (1). Successivamente nella Mesopotamia del sud, regione chiamata Sumer dal popolo che la abitava, sorsero altre città che ebbero in seguito importanza amministrativa, e diventarono, a turno, sede della “regalità”: ad esempio Kish, Lagash, Eridu, Ur ed Isin.

 

 

La costruzione di queste estese città, portate alla luce dagli scavi archeologici della seconda metà del 1900, è naturalmente collegata ad un notevole incremento demografico reso possibile da uno sviluppo della produzione agricola.  La Mesopotamia, anche allora, era una terra arida e quindi poco produttiva da un punto di vista agricolo. La sovrapproduzione di orzo e di altri cereali nel IV millennio a.C. in quella regione, fu dovuta all’introduzione dell’irrigazione da parte dei Sumeri; gli “ingegneri” di questo popolo portarono l’acqua in tutta la regione prendendola dal Tigri e dall’Eufrate. La progettazione e la costruzione di canali d’irrigazione fu la seconda straordinaria innovazione introdotta dai Sumeri (3). Tutte le terre tra ed intorno ai due grandi fiumi furono solcate da lunghi canali che portavano acqua alle colture; i nuovi arrivati introdussero il metodo del “campo lungo” che era costituito dal terreno coltivato collocato a fianco dei canali d’irrigazione; gli archeologi raccontano che questi campi potevano raggiungere la lunghezza di 900 m con larghezza di 20. I lavoratori dei campi potevano essere “coltivatori diretti” o “dipendenti“ del Palazzo (del re) o del Tempio (dei sacerdoti); coltivando questa terra con la disponibilità di acqua si raggiunse un surplus di derrate alimentari che poteva essere immagazzinato o scambiato con i popoli vicini dell’altopiano iranico. Un poema epico sumerico racconta che il re di Uruk mandò un messaggero al re Aratta in Iran per scambiare derrate alimentari con oro, argento, lapislazzuli e pietre preziose per abbellire i templi di Uruk e costruire un nuovo tempio al dio Enki di Eridu. Una analisi condotta da M. Liverani sull’importanza del potere sacerdotale nella civiltà sumerica mostra che le risorse devolute alle divinità e alla costruzione dei templi, subirono un notevole aumento proprio in corrispondenza della urbanizzazione e della creazione dei surplus agricoli. L’urbanizzazione e la esigenza di mantenere in funzione l’irrigazione creò anche la necessità di una autorità suprema che avesse il potere di coordinare i lavori su tutta la regione: così la divinità mandò sulla terra la “regalità”. I nomi e le gesta dei re di Kish, Uruk, Ur, ecc. sono stati scritti dagli scribi dei Sumeri e si possono trovare sulla “Lista reale sumerica” (1). La comparsa del termine scriba richiama la terza grande innovazione introdotta intorno al 3000 a.C. dai Sumeri: la scrittura cuneiforme. Partendo dagli ideogrammi in grado di certificare la natura e le quantità degli oggetti degli scambi commerciali, essi idearono il modo di esprimere idee e parole attraverso segni fatti con uno stilo di canna su una tavoletta di argilla cruda. Anche questo, secondo i testi sumerici, fu un dono degli dei e pervase velocemente tutta la società. Gli scambi commerciali, le compra-vendite dei terreni e case, i rapporti diplomatici tra i vari regni erano certificati dalle tavolette. Naturalmente le persone che sapevano scrivere erano poche e provenivano dalle famiglie più ricche che potevano mandare i figli alla “casa delle tavolette” la scuola sumerica per gli scribi. I maestri erano molto severi e qualche allievo-scriba ha raccontato ai posteri la sua paura quando si trovava di fronte al maestro. La scrittura cuneiforme divenne il mezzo di comunicazione per lingue diverse, quella dei Sumeri, degli Ittiti, dei Babilonesi, degli Assiri ed il ritrovamento di un numero enorme di tavolette scritte disperse nello spazio e nel tempo e il lavoro di traduzione degli archeologi hanno permesso di conoscere parte della storia di questi popoli da 5000 anni dal presente. Tenuto conto però del gran numero di testi ancora non letti è pensabile che ogni mese la storia si arricchisca di qualche tassello. L’ultimo documento scritto in cuneiforme e datato dagli archeologi, è di circa un decennio d.C. e quindi l’uomo ha usato la scrittura cuneiforme per ben tre millenni, anche dopo l’avvento delle scritture alfabetiche.

Verso il 2300 a.C. gli Akkadi, popolazione semitica proveniente dalla Mesopotamia centrale, conquistarono Sumer e lo governarono per circa un secolo. Gli Accadi avevano costituito un impero che governava tutta la Mesopotamia e, secondo M. Liverani (2), fu il primo impero apparso sulla terra. La capitale imperiale fu Akkad, la cui precisa posizione non è stata ancora individuata; essa era comunque a nord di Uruk e l’imperatore di spicco fu Sargon I, detto il Grande. L’impero fu abbattuto da orde nomadi di Gutei, che dominarono Sumer per circa un secolo e che i Sumeri consideravano “barbari”. Fu Utukhengal, re di Uruk, a liberare la regione dagli invasori e a dar vita al primo vero grande impero mesopotamico guidato dai Sumeri (1). Oltre alla Mesopotamia esso si estendeva verso Susa (Elam) ad est e verso Ebla ad ovest. A lui successero i re di una dinastia di Ur che rimasero al potere fino al 2000 a.C., quando finì definitivamente l’egemonia sumerica. La scomparsa del dominio sumero fu dovuto ad una invasione degli Amorrei, definiti dai Sumeri come persone “che non conoscono case, che non conoscono le città, gli incivili che abitano le montagne… e mangiano carne cruda” (1). Questo popolo lasciò poi il campo agli Assiri e ai Babilonesi che attraverso varie vicende, lottando tra di loro e contro nemici esterni, soccombendo e risorgendo governarono la regione per circa 15 secoli, fino all’arrivo di Ciro il Grande che fondò l’impero ”universale” della Mezzaluna Fertile. Gli Assiri abitavano nel nord ed ebbero come prima capitale Assur, poi Ninive, resa grande e splendente da Sargon II, Sennacherib e Assurbanipal alla fine dell’ottavo secolo a.c., essa venne distrutta definitivamente nel 609 a.c. dai Babilonesi. Questo popolo, insediato a sud, dominò ancora per circa un secolo la Mesopotamia; alcuni sovrani di Babilonia: Hammurabi, il legislatore, Nabucodonosor I e II e l’ultimo, Naboneto vinto da Ciro il Grande, sono finiti sui nostri libri di storia insieme a quelli assiri di Ninive. La civiltà costruita dai Sumeri, anche dopo la caduta del loro impero, continuò in forme anche più grandiose e la sua eredità culturale conservò immutata la sua forza vitale. L’arte e l’architettura di Babilonia si nutrirono ancora della cultura precedente pur con le trasformazioni introdotte dai nuovi dominatori. Le regge che i grandi sovrani assiri costruirono a Ninive risplendevano dei riflessi della maestà regale nata con i Sumeri. I Babilonesi avevano grandi re di cui parlare, però quando gli scribi cercarono una figura da ricordare nelle loro tavolette, scelsero Gilgameš, il re sumero di Uruk, e nacque così il ciclo epico noto come l’Epopea di Gilgameš. Una edizione dell’epopea, presente al British Museum, fu allestita per la biblioteca del re assiro Assurbanipal. La fine del dominio Babilonese fu causata da Ciro, re dei Medi e dei Persiani che nel 539 a.C. conquistò definitivamente Babilonia; sul cilindro di Ciro, che oggi è considerato la prima carta dei diritti umani nella storia dell’umanità, il re fece aggiungere dai suoi scribi, ai titoli ereditati dal nonno e dal padre: “Io sono Ciro, re dell’universo, il grande re, il re potente, re di Babilonia, re di Sumer e Akkad, re dei quattro angoli del mondo”.

 

 

Con la conquista di Babilonia Ciro occupò anche Siria, Libano e Palestina e liberò gli Ebrei deportati da Nabucodonosor II invitandoli a tornare a Gerusalemme per la ricostruzione del tempio di Salomone. Suo figlio Cambise II, all’inizio del suo regno, conquistò l’Egitto e così la Mezzaluna Fertile venne unificata nell’impero Persiano fino all’arrivo di una nuova forza che si impose nel Mediterraneo: la Grecia di Milziade, di Leonida e poi di Alessandro Magno che creò un impero che comprendeva la Grecia, l’Egitto e i territori asiatici dei Persiani fino all’Indo.

Età dei metalli

Non ho parlato finora dell’era dei metalli in Mesopotamia, ma è storicamente accertato che nel 500 a.C. il loro uso si era affermato in tutto il mondo conosciuto ed era stato il motore dell’incremento delle tecnologie e delle conoscenze sui materiali. Come le altre innovazioni applicative, l’uso ebbe inizio nei territori dell’est, ma in circa un millennio si diffuse in tutto il Mediterraneo e l’Europa.  Tratterò quindi l’argomento globalmente facendo riferimento all’uso dei metalli in tutte le regioni allora conosciute. La datazione usata per l’età dei metalli si riferisce al momento in cui il l’Homo Sapiens raggiunse l’abilità tecnologica di fonderli e quindi di produrre utensili o armi dal metallo fuso. Le date sono comprese nell’intervallo 4000-2500 a.c., per il rame, 3000-1200 a.c. per il bronzo, e 1200–800 a.c. per il ferro. La prima data è approssimativamente quella relativa al Medio Oriente e l’altra quella in cui la tecnologia arrivò sulle coste più lontane del Mediterraneo e in nord Europa.

Alcuni metalli tuttavia, in particolare l’oro, l’argento e il rame, presenti sulla crosta terrestre in forma di metallo nativo, furono usati dall’uomo molto tempo prima; essi infatti sono duttili e malleabili, riducibili facilmente in fili o lamine e quindi adatti per produrre utensili e soprattutto oggetti ornamentali. L’oro, per il suo colore giallo che ricorda la luce del sole, è stato il primo metallo che ha attirato l’attenzione dell’uomo ed è diventato molto presto il simbolo di ricchezza, di prestigio e di potere. Esso ha la caratteristica peculiare, rispetto agli altri metalli, di essere chimicamente stabilissimo; ha pochissima affinità con altri elementi e può essere attaccato solo con “l’acqua regia”, miscela costituita da acidi forti e pericolosi (25% di acido nitrico e 75% di acido cloridrico) da usare solo in laboratorio.  Attenzione però a non confondere l’acqua regia con l’acquaragia che si usa per diluire le vernici perché i risultati sarebbero disastrosi. L’oro si trovava e si trova ancora sotto forma di pagliuzze, lamine o granuli nelle rocce madri che decomponendosi liberano le particelle di metallo permettendo all’acqua di trasportarle nelle sabbie dei fiumi dove i “cercatori” con secchielli, setacci e canalette vanno a raccoglierlo. Un luogo dove sono stati trovati gli oggetti d’oro più antichi, risalenti all’incirca al 4500 a.c., è la necropoli di Varna, città bulgara sul Mar Nero. Gli scavi archeologici, condotti verso la fine del secolo scorso, hanno portato alla luce circa 300 tombe con tremila oggetti ornamentali di oro per circa 6 kg.

 

 

Poiché l’oro era indice di prestigio e di potere molti oggetti di questo metallo furono trovati nelle tombe dei re delle dinastie Mesopotamiche e in quelle dei faraoni egiziani. Per quanto riguarda la Mesopotamia riporto la descrizione della scoperta della tomba del re sumero di Ur  Mescalamdug, 2500 a.c., dell’archeologo Sir L. Woolley (qualcuno ricorderà Ur dei Caldei, ma questo popolo si stabilì nella città solo nel I millennio a.c.): “Ma fu quando togliemmo la terra dall’interno della bara stessa che si ebbe la grande sorpresa…..Intorno alla vita c’era una larga cintura d’argento, in fase di avanzata decomposizione, dalla quale pendevano una daga d’oro e una cote di lapislazzuli fissate ad un anello d’oro: sul davanti c’era una massa compatta di grani d’oro e lapislazzuli, a centinaia; le mani reggevano un pesante bacile d’oro, un altro bacile d’oro, ma ovale giaceva lì accanto e vicino al gomito c’era una lampada d’oro a forma di conchiglia, mentre un terzo bacile d’oro stava dietro la testa. Appoggiata alla spalla destra c’era una testa d’ascia a doppio taglio d’una lega d’oro e argento…… dietro il corpo erano ammucchiati…un diadema d’oro, braccialetti, grani sciolti, amuleti, orecchini a mezzaluna e anelli a spirale di filo d’oro… (1). Woolley continua con la descrizione della tomba della regina Pu-Abi e di quelle di cinque funzionari di corte e tutte erano piene di oro, argento e lapislazzuli. Così tutte le altre tombe reali di Ur.

 

 

Dopo la scoperta di queste tombe l’Europa e gli Stati Uniti compresero che ricchi oggetti per i loro musei potevano venire, oltre che dalle piramidi e tombe dell’Egitto, anche dalle sabbie dei deserti babilonesi. Ora infatti i reperti preziosi di quelle tombe si trovano essenzialmente nei musei di Londra e Filadelfia.  Dobbiamo tener presente che le terre alluvionali della Mesopotamia erano povere di metalli e quindi l’oro, l’argento i lapislazzuli, il rame e poi il ferro erano prodotti d’importazione, in particolare venivano dall’altopiano iranico. Un altro paese ricco di oro fu l’Egitto; già nell’antichità era noto che i faraoni avevano a disposizione grandissime quantità di oro che poi finivano nelle loro tombe. Esse incominciarono ad essere depredate subito dopo la loro costruzione nonostante fossero protette e salvaguardate in molti modi. L’oro dell’Egitto arrivava dalla Nubia (questo nome deriva proprio da una parola egiziana antica che significa oro) e le miniere rimasero attive fino all’età ellenistica quando sorse nelle vicinanze una città chiamata Berenice Pancrisia in onore della madre di un re ellenistico d’Egitto. La città fu coperta poi dalla sabbia e riapparve nel 1989 per merito di una spedizione italiana guidata da Angelo e Alfredo Castiglioni. Anche in Egitto l’oro si è accumulato nelle tombe dei faraoni e poi si è disperso nei musei di tutto il mondo. Un esempio della bellezza e della precisione tecnica dei manufatti d’oro che hanno accompagnato i faraoni nel regno dei morti, è dato dagli oggetti della tomba di Tutankhamon esposti al museo del Cairo.

Mentre l’oro di Ur e dei faraoni è rimasto inalterato fino a noi, l’argento e il rame, in presenza degli agenti atmosferici, subiscono col tempo reazioni chimiche inevitabili come ben sa chi possiede in cucina e in salotto oggetti di rame e d’argento; questi metalli infatti hanno, rispetto all’oro, una maggiore reattività chimica nei confronti di ossigeno e di composti solforati.

La quantità di rame e argento allo stato nativo che i popoli del V millennio a.C. riuscivano a trovare e lavorare, era inferiore a quella necessaria alle loro esigenze. Quindi già a quel tempo l’Homo Sapiens dovette imparare a reperire il materiale che gli serviva; inventò una metallurgia estrattiva scavando miniere e ricavò il metallo dai suoi minerali arrostendoli col fuoco. In particolare venne presto a scarseggiare il rame perché esso divenne la base per produrre il bronzo, una lega molto dura e resistente che per circa due millenni venne largamente usata in Oriente, in Egitto ed in Europa. I minerali contenenti rame hanno colorazioni vistose e attirarono facilmente l’attenzione dell’uomo che con il fuoco ricavò il metallo. Si usava la calcopirite (solfuro di rame e ferro, giallo ottone), il minerale di rame più diffuso sulla crosta terrestre; la cuprite (ossido di rame, rosso) e la malachite (carbonato di rame, verde). In Medio Oriente i minerali di rame provenivano in maggior parte dall’altopiano iranico. Anche l’argento fu ben presto estratto dalle miniere e commercializzato in Medio Oriente e in tutto il Mediterraneo. Si incominciò ad ottenere argento da minerali misti di piombo e argento, mettendo a punto un trattamento per la separazione dei due metalli; i minerali erano galena e cerussite, rispettivamente un solfuro e un carbonato di piombo contenenti discrete quantità di argento. Le principali provenienze dell’argento erano l’Anatolia, il nord della Grecia e la Spagna.

In Mesopotamia la tecnologia per la fusione del rame arrivò con l’inizio il periodo calcolitico intorno al V millennio a.c. In precedenza questo metallo veniva lavorato per martellamento e generalmente utilizzato per produrre oggetti ornamentali. Il rame è malleabile anche se abbastanza duro, poco deteriorabile dalla corrosione e altamente riciclabile; per queste caratteristiche e per la sua bassa temperatura di fusione (1085°C) esso è stato il primo ad essere ampiamente impiegato per produrre utensili per la vita quotidiana e armi da offesa e difesa. Casualmente o forse tramite esperimenti empirici, l’uomo, mescolando il rame con lo stagno (temperatura di fusione di 232°C) riuscì a ottenere il bronzo, una lega molto più dura e resistente dei metalli di partenza.  Possiamo dire che intorno al 3000 a.c. incominciarono le esperienze di chimica dell’Homo Sapiens. Le caratteristiche del bronzo, infatti, dipendono dalle relative percentuali dei due componenti e gli scavi archeologici hanno portato alla luce leghe con diverse percentuali di stagno, come anche leghe di rame con metalli diversi come piombo, zinco e fosforo. La lega di rame con le migliori qualità di durezza e resistenza, è quella costituita dal 90% di rame e 10% di stagno e venne usata fino alla fine del II millennio. Questa lega fonde ad una temperatura inferiore a quella del rame (intorno ai 1000 °C), caratteristica che agevola la fusione e la lavorazione.  Lo stagno, da mescolare al rame, proveniva in piccole quantità dall’odierno Afganistan, mentre la maggior parte veniva importato dalla Spagna o dal centro Europa.

Come accadde per le altre innovazioni introdotte in Mesopotamia, anche la lavorazione del rame si diffuse verso occidente abbastanza velocemente. Nel V-IV millennio la troviamo nei Balcani e circa un millennio più tardi si diffuse in tutto il Mediterraneo. Il bronzo arrivò in Italia ed Europa tra il 2000 e il 1200 a.c.

L’ultima tecnologia metallurgica scoperta dall’uomo fu quella del ferro; i primi campioni di questo metallo provenivano dalle meteoriti ferrose, però intorno al 1200 a.c. gli Ittiti, popolo dell’Anatolia centrale, misero a punto forni che potevano arrivare alla temperatura di fusione del ferro, 1.538 °C. Come vediamo in figura 5, l’uomo scoperse che per aumentare la temperatura dei carboni ardenti bisognava soffiarci aria con violenza e quindi le fornaci, in particolare per il ferro, erano connesse a grossi mantici e furono poste in siti dove solitamente spirava forte vento.

Intorno all’800 a.c. la metallurgia del ferro e il mestiere del fabbro arrivarono in Italia (per merito degli Etruschi) e nelle zone mediterranee dell’Europa, mentre nelle regioni del nord arrivarono qualche secolo più tardi.

Nascita della cultura della Grecia classica

La Grecia in età arcaica, al crollo della civiltà micenea, entrò in un periodo buio (dark age) nell’espressione originaria inglese) che durò all’incirca dal XII al VIII secolo a.C. In questo periodo i Greci sembravano aver smarrito la capacità di scrivere. Infatti, durante il dominio miceneo, essi usavano una scrittura nota come lineare B, che venne esportata anche a Creta dopo la sua conquista, ma nessun testo scritto attribuibile al tempo della “dark age” è stato trovato dagli archeologi.  La luce in fondo al tunnel riapparve all’inizio dell’VIII secolo, quando i Greci, adattando un alfabeto appreso dai Fenici con i quali intrattenevano intensi rapporti commerciali, reintrodussero la scrittura. Apparvero quindi testi di poemi epici che ricordavano la precedente epoca micenea nella nuova scrittura. Secondo il Prof Alfred Heubeck, filologo tedesco, è ormai accertato che tali poemi inizialmente nacquero in forma orale e solo successivamente vennero fissati con la scrittura ad uso degli aedi che cantavano nei simposi e nelle cerimonie religiose. Intorno al 750 a.c. apparvero, in particolare, due poemi l’Iliade e l’Odissea, che fecero dimenticare tutti gli altri e che i Greci attribuirono ad un poeta cieco di nome Omero. Essi pensavano che la civiltà fosse incominciata con questi poemi che furono i primi monumenti della scrittura alfabetica greca; due perle che dopo 2770 anni sono ancora lette, studiate e usate a scopo didattico nelle scuole di tutto il mondo. Qualche decennio più tardi apparvero le opere di Esiodo che attestavano un ritorno d’interesse dei Greci verso l’agricoltura. In questo periodo proprio per un aumento di produzione agricola, venne riscontrato in Grecia un notevole sviluppo demografico che generò la nascita delle “città stato”, datata, per convenzione, con l’anno della prima olimpiade: 776 a.C. Queste città (poleis) erano autogestite, con regole diverse tra città e città, ma in generale con magistrati eletti, un consiglio degli anziani e una assemblea dei cittadini in cui venivano discussi i problemi della comunità. Quando le città diventavano sovrappopolate si organizzavano gruppi di giovani che emigravano senza possibilità di ritorno e fondavano colonie nei territori circostanti, in particolare sulle coste dell’Asia Minore, nell’Italia meridionale e sulle isole circostanti. Le colonie dell’Asia crearono i presupposti per le guerre con l’impero persiano che come abbiamo visto nel VI secolo si estendeva dall’altopiano iranico all’Egitto, fino ai confini con la Grecia . Per due volte i Persiani calpestarono il suolo greco, due volte ritornarono a casa sconfitti e la fine del contenzioso con i Greci fu molto diverso da quello che loro prevedevano. Infatti, Alessandro Magno, re di Macedonia, allievo di Aristotele, nominato capo della “Lega Ellenica” dalle poleis greche per combattere la Persia, nel 334 a.c. entrò in Asia Minore e in soli dodici anni conquistò tutto l’impero persiano. Persia, Mesopotamia, Asia Minore, Libano, Palestina ed Egitto incominciarono a parlare il greco. I regni ellenistici creati dai generali di Alessandro dopo la sua morte e la disgregazione del suo impero, sopravvissero quasi tutti fino alla conquista romana.

Ma torniamo ora alla Grecia delle poleis, alla rinascita civile e culturale del popolo greco che durò approssimativamente dall’ VIII secolo a.C. fino ad Alessandro Magno e in altre forme, anche oltre. In quel periodo è sorto un numero talmente grande di poeti, artisti, tragediografi, storici, filosofi, naturalisti, matematici, astronomi, biologi, medici, politici che è impensabile scrivere di tutti e parlare delle loro opere nell’ambito di questa esposizione. Cercherò quindi, restando fedele al titolo del mio lavoro, di percorrere la strada che alcuni filosofi hanno seguito per cercare di comprendere la materia, il mondo, l’universo, il loro divenire e il principio primo dell’essere, di tutte le cose esistenti (che in greco suona come “ta onta”). Parlerò soltanto di alcuni grandi scienziati greci, rischiando errori ed omissioni. Lascerò quindi all’iniziativa degli interessati il completamento della storia greca di quei secoli; essi potranno ricorrere a buoni libri o alle moderne tecnologie quali Internet.  All’inizio dello sviluppo scientifico che cerca di spiegare l’origine della materia troviamo Talete da Mileto, nato intorno al 640 a.c., ricordato da Platone come uno dei sette saggi dell’età arcaica. Talete era filosofo, astronomo e matematico e la sua città era posta al termine di una carovaniera che la collegava alla Mesopotamia. Talete, i suoi discepoli ed alcuni altri filosofi proposero una filosofia “monista” o “riduzionista” per spiegare l’origine del mondo, essi infatti affermavano che tutte le cose avevano un “principio primo” unico ed immutabile; per Talete era l’acqua, per Anassimene era l’aria, per Anassimandro era l’apeiron, sostanza indefinita e indefinibile, per Eraclito era il fuoco e per Parmenide era l’Essere, infinito, invisibile, ingenerato ed eterno. La strada si biforcò nel V secolo con il primo filosofo pluralista Empedocle per il quale i principi primi delle cose erano quattro: terra, acqua, aria e fuoco. Poi venne Anassagora che, all’opposto dei monisti affermò che i principi primi erano in numero indefinito. Ed infine arrivò l’intuizione che la storia dimostrò la migliore, quella di Leucippo e Democrito che diedero vita all’atomismo, una “teoria corpuscolare meccanicistica” secondo la quale gli atomi, solidi e impenetrabili e indivisibili, davano origine aggregandosi a tutte le cose esistenti. La storia che sarà delineata nella prossima ed ultima parte di questo lavoro, partirà da Talete, passerà per il monismo e il pluralismo, parlerà dell’atomismo di Leucippo, di Democrito, di Epicuro, di Lucrezio ed arriverà, in circa 22 secoli, al sistema periodico di Mendeleev, caro a Primo Levi.

 

Bibliografia

  • Giovanni Pettinato, I Sumeri, Giunti Ed., 2017.
  • Mario Liverani, Uruk, la prima città, Laterza Ed., 2017.
  • Treccani, Vicino Oriente Antico. Agricoltura ed irrigazione. Mario Liverani. Storia della scienza (2001).

 

Gian Gaetano Aloisi è stato professore ordinario di Chimica Fisica presso l’Università di Perugia. E’ autore di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali. In molti dei suoi lavori vengono esposte ricerche riguardanti reazioni chimiche indotte da assorbimento di luce. Si è interessato anche della reattività fotoindotta di farmaci antimalarici. Ad esempio: “DNA cleavage induced by photoexcited antimalarial drugs”, pubblicato su Photochemistry and Photobiology, 83, 664, 2007. Arrivato alla pensione nel 2008, si è poi dedicato allo studio della storia antica e della preistoria.

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