*L’articolo si presenta diviso in due parti. Nella prima (qui pubblicata) viene ricostruita la vicenda – e conseguente polemica – fra Luigi Pirandello e Grazia Deledda riguardo alla pubblicazione del romanzo Suo marito, in cui lo scrittore siciliano allude (in modo un po’ indiscreto, dobbiamo ammetterlo) alla vita familiare della collega sarda. Nella seconda parte si approfondiranno alcuni aspetti, sempre in relazione agli scrittori e al romanzo, ma toccando temi più ampi quali le strategie editoriali o il rapporto tra biografia personale e invenzione nella creazione artistica.
Se di “strano caso” si tratta, per di più tra due personalità così importanti nella nostra storia letteraria del primo Novecento, allora è necessario indagare su come sia nato, si sia svolto e (forse) concluso.
La “scena” si apre nel 1908, con una lettera di Pirandello non presago ancora degli eventi che sarebbero seguiti, ma in trepida attesa per l’uscita dei suoi più recenti parti letterari:
[…] Il nuovo volume di novelle, già consegnato al Treves, ha per titolo ‘ La vita nuda’. Son quattordici novelle. Manderò pure al Treves, spero in aprile, il romanzo ‘Suo marito’. Son partito dal marito di Grazia Deledda. Lo conosci? Un capolavoro, Ugo mio, dico il marito di Grazia Deledda – intendiamoci… […]. [1] La scrittrice sarda aveva sposato Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze a Cagliari – ma originario di Cicognara di Viadana, Mantova –, nel gennaio 1900. Dopo il matrimonio la coppia si trasferisce immediatamente a Roma, dove Palmiro si dedica anima e corpo a seguire e sostenere l’attività letteraria della moglie, già avviata con successo in Sardegna.
Fin dai primi tempi del loro soggiorno i coniugi Deledda-Madesani si inseriscono a pieno titolo nella vita culturale romana, come racconta Maurice Muret sul “Journal des débats politiques et littéraires” del 21 agosto 1936 (pochi giorno dopo la morte di Grazia), rievocando gli incontri e le gite fuori porta di un’allegra brigata di letterati nei primi anni del secolo:
C’era allora a Roma una bottega, non direi di begli spiriti, ma di buoni spiriti, dove si riuniva alla fine della giornata tutto ciò che si chiamava l’intelligenza nei tempi in cui era onorata in Europa. Questa simpatica officina si trovava nel Corso e serviva da ufficio di redazione alla celebre rivista “Nuova Antologia”. Il buon poeta Giovanni Cena vi faceva gli onori . È stato lui a presentarmi Grazia Deledda, nel suo piccolo ufficio, dove si trovavano ancora, quel giorno là, Pirandello e il professor Barzellotti. Il marito di Grazia Deledda venne a raggiungerci poco dopo e s’improvvisò, seduta stante, un picnic all’Acqua Acetosa. Ci si strinse in una carrozza o due, non mi ricordo. Il marito della romanziera, che qualcuno chiamava Grazio Deleddo, aveva preso posto sul sedile e il suo vestito, gonfio di due bottiglie d’eccellente vino del suo paese, infastidiva molto il nostro ‘vetturino’. [2]
Sicuramente Pirandello quel giorno (e non solo) avrà osservato con interesse, professionale e personale, la scrittrice e il consorte; fonti certe ci dicono inoltre che non era estraneo all’ invenzione e diffusione di quel nome declinato al maschile. [3]
Nella scena successiva un doppio salto, temporale e spaziale, ci porta in una stanza del Grand Hotel di Stoccolma nel dicembre 1927 [4]:
Una stanza da letto molto spaziosa e sobria […]. Grazia è seduta sul letto di tre quarti rispetto al pubblico. Porta gli occhiali. Sta leggendo un quotidiano. Entra Palmiro […]:
Palmiro: – Ancora leggi quella roba lì?
Grazia: – Così, giusto per non dimenticarmi da dove vengo.
Palmiro: – Che dicono stavolta?
Grazia: – Mah, le solite cose… I detrattori hanno di buono che spesso peccano di fantasia.
Palmiro: – Pirandello?
Grazia: – Anche, certo, non l’ha proprio buttata giù […]. C’è un’accusa nei miei confronti che ho persino imparato a capire…
Palmiro: – Un’accusa?
Grazia: – Certo, e ti dirò di più: è l’origine di tutto. (Cerca le parole adatte) Essermi rifiutata di mediare… Di offrire una possibile consolazione. Si sono abituati a confondere lo scrittore col cerimoniere. E invece lo scrittore è uno specchio. Riflette e ti mette davanti a quello che sei, senza sconti. Sennò non è uno scrittore. Vedi il buon Enrico Costa: quanta bellissima scrittura buttata via, quanto talento sprecato pur di farsi amare…
Palmiro: -E Pirandello…
Grazia: – No, Pirandello no, Palmiro: Pirandello è grandissimo, grandissimo.
Palmiro: – Non posso perdonarlo… Ti ha fatto una cosa troppo brutta.
Grazia: – Che cosa, quel romanzo dove tutti avrebbero dovuto riconoscere me e te? (Fa di spalle) Cosa ha ottenuto? Un pessimo romanzo…
Palmiro: – E ancora dici che è grandissimo?
Grazia: – Solo i grandissimi possono fallire così miseramente. Ma quel Mattia Pascal che meraviglia! È bellissimo, è moderno, ti dirò che gliel’ho persino invidiato…
Palmiro: – E ora tocca a lui… [5]
Un passo indietro, e siamo al 1911 per continuare a seguire il percorso editoriale di Suo marito, il «pessimo romanzo» cui alludeva Grazia nel testo di Fois. Percorso ancora tranquillo, se Pirandello scrive ad Alberto Albertini, capo redattore del “Corriere della Sera” e fratello del direttore Luigi, per scusarsi del mancato invio di novelle in quanto «– stretto da un impegno col Treves –» deve «assolutamente consegnare il manoscritto del romanzo Suo marito alla fine del mese venturo». [6]
E qui, a movimentare l’azione, entra in scena per un momento, ma da protagonista non privo di una certa arguzia, Emilio Treves in persona che nel settembre 1911 scrive a Pirandello, giustificando, con una curiosa lettera, di non poter stampare il romanzo ‘Suo marito’ […]. Finge di aver rifiutato un romanzo «bello, interessante» che aveva per titolo ‘Sua moglie’ dove si alludeva «in modo evidente alla moglie di Lei, caro signor Pirandello», «mettendola in ridicolo in modo tale che non si può fare a meno di riconoscerla». Pubblicando ‘Sua moglie’, già accettato e poi respinto, avrebbe mancato «ad ogni delicatezza» e avrebbe dato a un suo autore, lui: Pirandello, «un grave dispiacere a vedersi messo in burletta». Così, conclude: «Ella ha capito la parabola, e non ha bisogno di altre parole per spiegare l’impossibilità morale in cui mi trovo di pubblicare ‘Suo marito’». È un tratto di grande sensibilità, accresciuto dalla richiesta di non serbargli «rancore» e di inviargli «un altro suo romanzo con qualche novella per “L’Illustrazione” e per il “Secolo XX”». [7]
La situazione familiare di Pirandello si era fatta sempre più drammatica, con la moglie Antonietta Portulano affetta da «una forma irrimediabile di paranoja» [8], che aggravandosi anno dopo anno porterà la donna al definitivo ricovero in una clinica per malattie mentali nel 1919. Il peso della famiglia (ci sono anche tre figli) grava da tempo tutto sulle spalle dello scrittore. Pirandello, che pure era stato molto esplicito riferendosi a Palmiro Madesani nella lettera a Ojetti del 1908, non sembra toccato dalla ‘delicatezza’ di Treves; e scrivendo ancora all’amico si mostra sorpreso e risentito per la decisione dell’editore:
Mio caro Ugo, mi capita un bel caso! Mando finalmente al Treves il ms del romanzo ‘Suo marito’ che – come sai – è dedicato a te e – come non sai – mi è riuscito veramente bene e tale che potrà avere – se gli saran candidi i fati – una grande fortuna. Ed ecco che cosa mi risponde il Treves! Evidentemente la D.dda, la quale ha saputo dell’invio da un giornale di Roma che mi ha “intervistato” è corsa al riparo dal Treves […]. Ti assicuro, mio caro Ugo, che è una persecuzione ingiustissima! Io non ho preso dalla realtà che un semplice spunto, il che è perfettamente legittimo; poi ho lavorato liberamente con la fantasia, ho inventato personaggi azioni e tutto. Non posso, pe’ brutti occhi della signora D. buttar via un’opera d’arte. Potrei forse costringere legalmente il Treves, che aveva accettato il romanzo ‘per contratto’, a stamparlo, ma non mi conviene, tu lo capisci. […] [9]
E qualche giorno dopo, sempre a Ojetti:
[…] il Treves aveva già mandato in tipografia il manoscritto, che mi è tornato con le prime cartelle sporche di stampa […] Che povertà di spirito, che angustia mentale in quella Deledda! Non capire che, facendo così, stuzzica peggio la curiosità morbosa di questo sporco e meschino cortile di pettegolezzi che è il nostro odierno mondo letterario! E me ne duole! Perché ai lettori, che si preparano a una lettura pepata, il mio romanzo, che è schietta e pura opera d’arte, rischierà forse di parere insipido. Ma già, no! Ti assicuro che insipido non sembrerà… Basta. Accetto con gratitudine, mio caro Ugo, la tua seconda proposta: quella del Quattrini. […]. [10]
Il romanzo sarà alla fine pubblicato nel 1911 dalla Casa Editrice Italiana di Attilio Quattrini, Firenze, nome altisonante, ma casa editrice di secondo piano; mentre Pirandello teneva molto all’editore Treves [11], questo sì di primo piano potendo vantare in catalogo autori come Verga, D’Annunzio, De Amicis e, dal 1905, Grazia Deledda. [12]
Suo marito non è certo il più popolare fra i sette romanzi che Pirandello ci ha lasciato, da L’esclusa del 1901 a Uno, nessuno e centomila del 1926; è interessante però ancora oggi per il quadro dell’ambiente letterario romano che delinea [13], e soprattutto perché ha come protagonista uno scrittore, qui la scrittrice Silvia Roncella.
Nei precedenti romanzi Marta Ajala (L’esclusa) scriveva, ma lettere, che saranno motivo della sua disgrazia; don Diego Alcozèr (Il turno) si limitava alle citazioni da Orazio e da Catullo, mostrandosi senza tanta fatica più colto dei suoi compaesani; Mattia Pascal era circondato dai libri in quanto bibliotecario, ma il primo (e unico, immaginiamo) che scrive è quello che stiamo leggendo e dove racconta in prima persona la sua vicenda.
Scrittrice di successo, Silvia Roncella si è trasferita a Roma da Taranto con il marito Giustino Boggiòlo che, fedelmente rispecchiando lo sbeffeggiato “Grazio Deleddo” Palmiro Madesani, le fa da contabile-segretario-agente letterario. È facile capire che se irritato è Pirandello per i tanti ostacoli frapposti dalla Deledda alla pubblicazione di Suo marito, altrettanto, se non più, è irritata la scrittrice per un romanzo che molti avrebbero letto con pettegola malizia, piuttosto che con interesse letterario. [14]
Pirandello non ebbe certo un comportamento da gentiluomo, avendo sfogato in Suo marito un qualche malumore dovuto a invidia familiare o professionale (o forse entrambe). Ma se entriamo nel merito dei contenuti del romanzo ha sostanzialmente ragione: lo spunto narrativo ripreso dalla vicenda privata della scrittrice sarda, infatti, rimarrà davvero nulla più che uno spunto.
La questione però non si risolve qui, perché l’ostilità fra i due futuri premi Nobel durerà ancora a lungo: secondo Pirandello «la Deledda, che ottiene il riconoscimento nel 1926 – in quell’occasione egli muove commenti amari e sprezzanti su di lei nella corrispondenza con il figlio Stefano –, avrebbe ostacolato in ogni modo (ma invano) la candidatura dello scrittore siciliano per il 1934. Non risulta che ci sia mai stato alcun chiarimento tra i due, che peraltro si spengono a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro: la Deledda muore il 16 agosto 1936, Pirandello il 10 dicembre successivo». [15]
A questo punto lo “strano caso” si chiude senza vere definitive risposte, senza un confronto fra le due parti in causa, senza altre prove da addurre agli atti. Nemmeno il rifacimento di Suo marito – il Giustino Roncella nato Boggiòlo, ultimo atto incompiuto di questa vicenda – introduce elementi nuovi a modificare il dissidio fra i due scrittori.
Concludendo la prima parte di questa ricerca non resta che prendere atto – con qualche malinconia di noi lettori – dell’ “appuntamento mancato” fra due grandi della nostra letteratura.
Che percorsero il loro cammino parallelamente senza mai incontrarsi, nonostante fossero tutti e due isolani di temperamento aspro e forte: ed alle rispettive patrie ancorati, succhiandone umori, introiettandone codici, patendone vincoli profondi. Tutti e due partiti dalla periferia estrema con un che di venturoso e di vago nel cuore, di confuse speranze, per fame di vita e di mondo, vagheggiando orizzonti vasti, ma poi, da quella periferia, slontanandosene nell’immaginazione. Tutti e due di tenace concetto e volontà ferrea, anche feroce: che è ciò che Pirandello ha sempre coltivato in sé, pur nelle gravi avversità familiari, ma che, forse, non voleva, né poteva, apprezzare in una donna. [16]
[1] Lettera a Ugo Ojetti da Roma, 18 dicembre 1908, in L. Pirandello, Carteggi inediti, a cura di S. Zappulla Muscarà (“Quaderni dell’Istituto di Studi Pirandelliani”), Bulzoni Editore, Roma, 1980, p. 28. Anche l’ editore Treves annuncia, sulla “Nuova Antologia” del 16 gennaio 1908, «la pubblicazione di Suo marito per l’anno in corso» (ivi).
[2] R. Dedola, Grazia Deledda. I luoghi, gli amori, le opere, Avagliano Editore, Roma, 2016, p. 231.
[3] Siamo agli inizi del secolo e già (dal 1905 almeno, subito dopo Il fu Mattia Pascal ) Pirandello lavorava al romanzo: «Intanto scrivo un altro romanzo umoristico: Suo marito. Il marito di una grandonna [sic], marito contabile e segretario. Figuratevi!» (Lettera a Luigi Villari da Roma, 10 marzo 1905, in R. Dedola, Grazia Deledda, cit., p. 232).
[4] Ricordiamo che Grazia Deledda vinse il premio Nobel per il 1926, ma lo ritirò il 10 dicembre 1927.
[5] M. Fois, Quasi Grazia, Einaudi, Torino, 2016, pp. 45-51: «Un perfetto “romanzo in forma di teatro”», come recita la presentazione dell’editore.
[6] Lettera ad Alberto Albertini da Roma, 6 febbraio 1911, in L. Pirandello, Carteggi inediti, cit., p. 161. Lo scrittore collaborava al «principe dei nostri giornali quotidiani» dal 1909.
[7] M. Grillandi, Emilio Treves, Utet, Torino, 1980, pp. 590-591.
[8] Vedi lettera a Ugo Ojetti da Roma del 10 aprile 1914, in L. Pirandello, Carteggi inediti, cit. , p. 78.
[9] Lettera a Ugo Ojetti da Roma, 30 luglio 1911, in L. Pirandello, Carteggi inediti, cit., p. 60.
[10] Lettera a Ugo Ojetti da Roma, 3 agosto 1911, in L. Pirandello, Carteggi inediti, cit., p. 62.
[11] Treves aveva pubblicato nel 1908 L’esclusa, primo romanzo dell’agrigentino e nel 1910 Il fu Mattia Pascal, uscito nel 1904 prima a puntate nella “Nuova Antologia”, poi in volume per le edizioni della rivista stessa.
[12] In quell’anno la scrittrice sarda pubblica da Treves la raccolta di novelle I giuochi della vita. Poi, dal 1910 fino al 1936, Treves sarà il suo editore esclusivo (vedi A. Dolfi, Grazia Deledda, Mursia, Milano, 1979, pp. 171-172).
[13] Per approfondire, vedi: I cenacoli letterari nella Roma di inizio Novecento nel romanzo “Suo marito”, in Illusione e affabulazione in Pirandello e nel modernismo europeo (éd. B. Van des Bossche, M. Jansen et N. Dupré), Cesati, Firenze, 2013, p. 109-118. Anche nel web: https://www.academia.edu/13470899/I_cenacoli_letterari_nella_Roma_di_inizio_ novecento_nel_romanzo_Suo_marito_
[14] Esaurita la prima edizione di Suo marito, Pirandello non ne permise più la ristampa (secondo la testimonianza del figlio Stefano ciò accadde per delicatezza verso la Deledda; o, forse, fu per timore di controversie legali, come ha immaginato qualche critico); ma intorno al 1934 ritorna sul testo del romanzo apportandovi notevoli cambiamenti. Questa seconda stesura rimase però incompiuta, arrestandosi all’inizio del quinto capitolo a causa della morte dello scrittore. Qual era il titolo scelto per la nuova edizione? Giustino Roncella nato Boggiòlo: quel primo soprannome, inventato malignamente per il marito della scrittrice sarda, Pirandello non lo avrebbe mai dimenticato.
[15] F. Danelon, Appunti per “Suo marito” di Luigi Pirandello, in Gli scrittori d’Italia. Il patrimonio e la memoria della tradizione letteraria come risorsa primaria, Atti dell’XI Congresso dell’ADI, Napoli, 26-29 settembre 2007, Graduus, Grottammare, 2008. Nel presente testo lo si cita dal sito: https://www.pirandelloweb.com/appunti-per-suo-marito-di-luigi-pirandello/. Saggio che, oltre a essere stato molto utile alla nostra ricerca, si consiglia per approfondire cronologia e contesto storico dell’ambientazione di suo marito.
[16] M. Onofri, Un appuntamento mancato: Grazia Deledda e Luigi Pirandello in Saggi sul Novecento, Viterbo, Edizioni Sette Città, 2010, citato in R. Dedola, Grazia Deledda, cit., p. 239.
Gianfranco Bogliari ha insegnato Lingua e Letteratura italiana e Storia del Teatro presso l’Università per Stranieri di Perugia. In collaborazione con Stefano Ragni, musicista, ha realizzato incontri sul rapporta tra Musica e Letteratura. Collabora inoltre con enti e istituzioni per conferenze e letture tematiche.