Privacy Policy L’immaginario di Pablo Neruda
Oretta Guidi Vol. 12, n. 1 (2020) Letture

L’immaginario di Pablo Neruda

Vol. 12, n. 1 (2020)

Il contatto con il paesaggio di Temuco fu la prima esperienza infantile cosciente di Pablo Neruda. Contatto e contagio di una natura a volte smisurata, seduttrice e soggiogante, il cui ciclo di trasformazioni presenta una contrastante violenza. Generatrice e distruttrice, questa geografia ingloba compenetrandosene, come la poesia di Neruda, boschi selvatici, montagna e mare, vegetazioni invasive, umidità di nascita e di putrefazione, legni alzati, abbattuti, sotterrati, piogge e venti catastrofici, il ciclico e imperioso dominio delle forze viventi in incessante metamorfosi. La natura agreste del sud del Cile si fisserà indelebilmente nell’immaginazione del poeta per costituire la sua base primordiale; non solo ripetuto motivo della sua opera, ma il quasi permanente paragone delle sue comparazioni, il vivaio delle sue associazioni, che alimenta e orienta le sue visioni.

Da Crepuscolario fino a Residencia en la terra, la poesia di Neruda sarà un progressivo intento di liberare la sua immaginazione dai controlli razionali, da ogni complesso culturale, dalla storia, dalla letteratura, dalla società. Volendo riscattare una parola che sia affioramento immediato dell’interiorità in spontaneo, in istintivo flusso, volendo recuperare la più profonda naturalità, sciolte le forze metaforiche che generano la visione mitologica. La sua poesia più ispirata, la più svisceratamente sua, implica una sospensione della coscienza riflessiva, uno stato di raptus, di alienamento. Neruda abbandona il pensiero analitico per quello analogico.  Va lasciando da parte il quadro o l’aneddottica, si disinteressa dello spettacolo o della circostanza per recuperare pienamente la mobilità e la mutabilità dell’immaginazione mitologica.

A misura che libera, questa immaginazione ancestrale ci rimanda con crescente insistenza ai processi naturali, soprattutto alle trasformazioni organiche; tende a creare una animazione biologica. L’immaginazione di Neruda sarà ogni volta più penetrante, meno evasiva, più materializzante; vorrà addentrarsi, vorrà raggiungere per approfondimento, per immersione quel nucleo energetico della realtà, quel centro  da cui deriva ogni creazione.  Liberate alla propria dinamica, senza censure, senza una formalizzazione che le interferisca, senza astrazione, senza desiderio di stilizzazione, le fissazioni infantili si manifesteranno pienamente. Neruda recupererà le visioni dell’immaginazione basica, di quella mitologia preletteraria, prescientifica che trasfonde in intima intercomunicazione tutti gli ordini della realtà, che è come una energia materiale, transubstanziale, multiforme, proteica, incessante.

Quando ricerchiamo gli impulsi, i movimenti immaginativi, i processi metaforici, le insistenze, le origini del dinamismo nerudiano,  ci imbattiamo con il mondo forte, fresco e puro della sua fanciullezza, con le materie maternali, con il legno, la carne, la terra, con il mare, con la pioggia, con il vento, con la geografia natale:

Dedónde vengo, sino de estasprimerizas, apule

Materiasque se enredan o se increspan

O se destituyen…     

(Canto general de Chile,  verso 491)

Le volte in cui ricreerà con frequenza le immagini recuperate attraverso la sua precoce esperienza, cercherà di imitare la natura nei suoi processi creatori, di concepire le sue poesie come se fossero manifestazioni dirette dell’energia naturale. Il senso tende all’instabilità, alla dispersione, alla ramificazione intricata, alla molteplice valenza; tesse un ordito spesso così folto che è difficile isolare i componenti. Importa più la visione globale piuttosto che questa individuazione delle parti; i mobilizzatori del lettore sono più i movimenti, i tropismi, gli interscambi, le continue trasformazioni materiali che la ripercussione di immagini più o meno indipendenti. Questo naturalismo porterà Neruda ad una attitudine francamente anti intellettuale, ad evitare ogni riflessione estetica, a negare ogni teoria, a postulare una poetica candida che nasconde il lavoro di produzione testuale, la difficile risoluzione di problemi tecnici, sotto l’apparenza dell’irreprimibile e oscuro dettato di forze sovraumane. In contrapposizione con l’integrità del mondo naturale, la città ha per Neruda un carattere negativo, deteriora, degrada, denaturalizza.

Per Neruda, la poesia si omologa con la natura come un figlio con sua madre; l’identità , la filiazione si dà specificamente con quella selva cilena in cui trascorre l’infanzia; l’origine della sua poesia si situa puntualmente a Temuco, a partire dal 1906, quando il futuro poeta comincia a conoscere, ad abitare questa selvaggia bellezza, estasiato e involto in essa. Da allora la sua poesia sarà un ritorno all’origine, una ri-attualizzazione di quell’inizio; manifesterà una autoctonia profonda che, sprovvista di pittoresco o di una localizzazione esplicita, non ha bisogno di indicazioni geografiche per esprimere solidarietà con la terra natale.

In Infancia y poesía descrive i treni, suo padre ne conduceva uno e Neruda lo accompagnava in alcuni dei viaggi al sud. La terra sarà sempre per Neruda ‘la generatrice’, quella che dà la vita e alimento,  generatrice e rigeneratrice della vita. La terra patria, soprattutto, apparirà rappresentata come madre e dimora, come donna possessiva e posseduta, che stabilisce un vincolo carnale con gli uomini che la abitano. Nel corso del Canto general si manifesta insistentemente la sacralizzazione della terra come deità femminile. Si dice spesso che Neruda, data la sua predisposizione per le forme estese, per i ritmi abbondanti, è un poeta fluviale o oceanico. Entrambi gli aggettivi sono pertinenti, e non solo metaforicamente, perché l’acqua in movimento, di cielo, fiume, o mare, costituisce, secondo quanto dichiara il poeta, una esperienza impressionante, persistente, ispiratrice di vari libri. Per esempio, intorno a Venti poesie d’amore: ‘È un libro che amo perché malgrado la sua acuta malinconia vi è in esso il gusto dell’esistenza. Mi aiutò molto a scriverlo un fiume e la sua foce: il fiume Imperial. Le venti poesie sono il romanzo di Santiago…..ma il panorama è sempre quello delle acque e degli alberi del sud’. Anche El habitante y su esperanza, secondo quanto confida al suo amico Cardona Peña, è legato al ricordo delle acque australi. Anche Residencia en latierra, in accordo con una dichiarazione di Neruda, ha il ritmo oceanico e proviene da un nucleo di ispirazione oscura, posseduta dal movimento delle onde. Nella sua lettera a G. Vera datata il 6 agosto del 1928, dice: ‘Il mio nuovo libro si chiamerà Residencia en la tierra e saranno 40 poesie in versi che desidero pubblicare in Spagna. Tutto ha eguale movimento, eguale pressione e è sviluppato nella stessa regione della mia testa, come uno stesso tipo di insistenti onde’. Pioggia e onde riappaiono nel corso della sua opera non solo come motivi predominanti, ma anche come impulsi ritmici, come cadenze naturali con le quali il poeta si accorda per fare affiorare e facilitare il flusso immaginativo.

Neruda parte quasi sempre da uno stimolo naturale; gli agenti scatenanti e generatori della sua ispirazione sono il terraqueo o l’acquatico, il vegetale , l’animale, le metamorfosi dell’eterna materia. La copade sangre, un testo che data dal 1938, ci chiarisce il nesso sostanziale di Neruda con la natura, ci aiuta a comprendere l’attitudine del poeta, i suoi moduli immaginativi, i suoi parametri, i suoi paragoni, le corrispondenze che stabilisce per interpretare la realtà. Evoca degli avvenimenti che considera decisivi nella sua vita e a cui ritorna quando, nel dormiveglia, la sua memoria divaga liberamente. Uno è il ricordo di una coppa di sangue di agnello che i suoi zii gli fecero bere in uno dei festini in cui si riuniva la famiglia; questa esperienza, sacralizzata da Neruda, assume carattere rituale, è una cerimonia di iniziazione che simboleggia l’accesso alla virilità. Questa coppa di sangue appare come un sacramento che trasforma un fatto fisiologico fondamentale in una cerimonia carica di significato, che mette in comunicazione l’officiante con la forza suprema della vita; questa coppa è una manna dotata di poteri primordiali, è un archetipo mitologico che coniuga le due funzioni basiche della vita organica: la nutrizione e la sessualità. Un altro ricordo riguarda la morte del padre.

C’è in Neruda un volontario primitivismo che cercherà a poco a poco il suo più adatto veicolo espressivo. Torna il ‘ridiventare barbaro’ di Baudelaire, postulato che preannuncia uno degli aneliti più persistenti della poesia contemporanea: spogliarsi della troppo pesante tradizione culturale, della pesantezza letteraria, della razionale, media e armonica chiarezza dell’umanesimo europeo. Questi valori risultano anacronistici in una società borghese che, a partire dall’era industriale, accentua i suoi conflitti e le sue contraddizioni; che a misura che si urbanizza e diventa tecnica, rimpiange la bontà dell’uomo naturale, non sviato dalla civilizzazione. Ma nessun poeta europeo può raggiungere questa spogliazione così integralmente come Neruda, come il poeta delle terre vergini in cui la storia pesa meno e in cui la natura appare ancora allo stato selvaggio.

Nella sua liberazione da impedimenti mentali, letterari, nel suo ritorno alle associazioni primigenie, alla coscienza atavica, all’immaginazione ancestrale, Neruda si avvicinerà al surrealismo. Forse non può parlarsi di influenza (i primi testi surrealisti sono puntualmente contemporanei di El hondero entusiasta e Tentativa del hombre infinito, ma di coincidenza estetica. In Neruda si dà, come in Breton, un comportamento mitologico; entrambi perseguono la naturalizzazione del linguaggio artistico, l’abolizione dei moduli prestabiliti, come se volessero fare tabula rasa di ciò che è istituito e istituzionalizzato, di ciò che è acquisito dall’apprendimento, dell’accettato e delle imposizioni sociali, come se volessero annullare la storia per ritornare a una modalità primordiale della materia, alla materia prima. E per consumare la rigenerazione è necessaria un’immersione, una previa distruzione, una caduta al caos primitivo, all’informale, che rende possibile il recupero dell’integrità dell’inizio. Secondo Mircea Eliade, questi artisti contemporanei recuperano i miti cosmogonici, miti relativi all’origine dell’universo, alla nascita per eccellenza, al modello esemplare di ogni creazione.

La nostalgia per lo stato di massimo splendore vitale, per la nudità e la pienezza paradisiaca, l’ansia di ritorno alle origini, la credenza che la purezza, l’integrità, la verità, le virtù maggiori si incontrano agli inizi, quando l’uomo conservava intatto il suo vincolo con la natura, condizioneranno profondamente la cosmovisione di Neruda. In ciò che riguarda la sua poetica, praticherà e predicherà una concezione naturalista, intenzionalmente ingenua, quella del potere incosciente.

Neruda, nel meglio della sua opera, tende a tornare ad una letteratura a-letteraria, a oltrepassare il protocollo, quella disposizione formale, quel codice che fa sì che una scrittura entri nel campo del letterario. La sua poesia conferma, più di nessun’altra la teoria di Northrop Frye. Secondo Frye, la letteratura risponde a leggi e strutture permanenti, è basicamente costituita da categorie preletterarie come i riti, i miti e il folklore. Gli scrittori tendono più o meno inconsciamente a ritornare a queste fonti. La letteratura sarebbe una graduale complicazione di un gruppo ristretto di formule semplici o archetipi che procedono da modi immaginativi basici e che possono studiarsi soprattutto nelle culture arcaiche. In connessione con l’opera letteraria, Frye determina la relazione che esiste tra ritmo, ciclo, rito e sogno. Per Frye, il contenuto, la referenza ultima dell’arte è la natura, e nell’arte il vincolo con la natura proviene principalmente dalla sincronizzazione dell’artista con i ritmi del suo ambiente. Quasi tutti questi ritmi sono ciclici e sono ritualizzati: stagioni, giorno e notte, maree, solstizi, gestazioni, respirazione. Il rituale è uno sforzo volontario per recuperare una relazione persa, relazione magica, con i poteri naturali. Il rituale contiene in germe gli archetipi mitologici. Un mito è una cristallizzazione verbale di frammenti di significato in una forma organica che si capta globale e improvvisamente fonde, e trasmette a volte il rito e il sogno. La letteratura mitica presuppone un ordine globale della natura, cui corrisponde, per imitazione, un ordine somigliante della parola. E come c’è un centro energetico della natura, esiste in coincidenza, un centro profondo dell’esperienza immaginativa da cui sorge il mito come oracolo, come rivelazione. A questo centro scende Neruda per immersione nelle profondità della coscienza, fino ad incarnare in parole quelle forze vitali, che sono linguisticamente forze metaforiche e forze mitologiche. Le sue visioni ricreeranno il repertorio di mitologemi che costituiscono la base non solo della mentalità primitiva o popolare, ma anche di tutta l’immaginazione umana.

Stiamo delineando una personalità poetica condizionata da certe esperienze infantili, con una determinata visione e attitudine di fronte al mondo, che cercherà progressivamente i mezzi verbali più adatti per esprimerle. L’analisi diacronica dimostra come Neruda vada aggiustando poco a poco intenzione espressiva e rappresentazione verbale. Neruda ha un temperamento romantico e il suo stile più caratteristico è espressionista. Già nel 1926  nel prologo di El habitante e su esperanza, afferma:

‘Io ho un concetto drammatico della vita e romantico; non mi corrisponde ciò che non arriva profondamente alla mia sensibilità. Per me è stato molto difficile riunire questa costante del mio spirito con una espressione più o meno propria…’

Andiamo a vedere come e quando si produce tale alleanza. In Crepuscolario, il suo libro iniziale che data 1923, come in Los heraldos negros di Vallejo e nei primi poemi di Huidobro, si chiude il processo scatenato dal modernismo. Neruda assimila le tendenze della sua epoca, pratica le modalità in voga: modernismo alla Darío, romanticismo melodrammatico o un semplicismo che lo pone in contatto con il vicino, con il suo tempo e il suo spazio reale. Si ripete l’analogia tra donna e terra, della fecondità femminile e di quella tellurica: ‘Tu carne sei terra che sarà matura/ quando l’autunno titende le mani’. Il poeta, nel sacralizzare la terra come generatrice universale, sacralizza l’amore, l’unione sessuale con la donna che incarna la fertilità terrestre. Gli atti e i sentimenti umani si vincolano con modelli cosmici. Poeta e paesaggio si fondono romanticamente agitati dai cataclismi, scossi da forze catastrofiche. Riferendosi alla tappa posteriore a Crepuscolario, dice Neruda: ‘…volli essere un poeta che abbracciasse nella sua opera un’unità maggiore. Volli essere, alla mia maniera, un poeta ciclico che passasse dall’emozione o dalla visione di un momento ad un’unità più ampia’.

In El hondero entusiasta, si avvicina allo stile che meglio conviene alle proprietà della sua ispirazione; qui è manifesta l’impronta del futuro Neruda, le sue motivazioni centrali: la vertigine cosmica, l’immaginazione compulsiva, penetrante, sommergibile, che cerca di installarsi nel nucleo energetico della materia, l’erotismo materializzante, il genetico e il genitale, le interazioni tra tutti gli ordini della natura. Il movimento di El hondero entusiasta si prolunga fino a provocare un fluire di versi che, riuniti, integreranno Veinte poemas deamor y una canción desesperada. In questo terzo libro, il poeta cercherà di aggiustare i suoi ferri in funzione delle sue intenzioni espressive. Questa comunione confusa e tumultuosa con l’universo, questo assorbimento intuitivo della natura nella pienezza della sua energia si va ad accentuare con Tentativa del hombre infinito. Pubblicato nel 1926, Neruda gli aggiudica importanza decisiva dentro la sua opera poetica, perché supera i Veinte poemas nel proposito di gestire una poesia che agglutini tutti gli antagonismi, che inglobi tutte le potenze del mondo e perché costituisce un primo definitore dello stimolo più caratteristico del poeta.

 

Oretta Guidi, laureata in lettere classiche, ha insegnato all’Università per Stranieri di Perugia Lingua e letteratura italiana nella prospettiva comparativistica.
Ha pubblicato due saggi  sul Fantastico e dintorni e Irregolari novecenteschi. Si interessa di letteratura del novecento, partecipando a convegni letterari su temi e autori moderni e contemporanei, collaborando anche a diverse pubblicazioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.