Privacy Policy Il mare, il pane, gli animali, i libri
Extra Serie Giorgio Pangaro Idee

Il mare, il pane, gli animali, i libri

Prologo

Ho imparato a leggere e scrivere con mio padre, la sera seduti sotto un ciliegio. Lui mi ha pure insegnato a nuotare, ma non ha saputo, o potuto o voluto, vattelapesca, insegnarmi un mestiere. Sono i tre precetti, insegnamenti e obblighi fondamentali, che un padre ha verso il proprio figlio (credo stiano nel Pirkè Avot): leggere&scrivere, nuotare e un mestiere. Due sono di ovvia comprensione, ma nuotare perché? Risposta ironica, e scontata: perché il Mar Rosso non si apre ogni volta che vuoi, ma la verità è più semplice: sono nato a Trieste. Perciò, per imparare un mestiere e soprattutto perché la miseria era nera, ho cominciato a lavorare ch’ero poco più di un bambino. Avevo dodici anni e sono andato a fare il fornaio. Quindi per molti anni ho lavorato come operaio, ed era faticoso levarsi dal letto alle tre del mattino, ma ancor più faticoso il sopportare la pesantezza del mestiere Tutto era pesante, i sacchi di farina da versare nell’impastatrice, i groppi di pasta da levare dall’impastatrice, le tavole cariche di pagnotte da portare alle celle di lievitazione, e le ceste di pane che in spalla portavo dal panificio alla rivendita.

Poi, avuta la fortuna di trovare un buon maestro, son passato, sotto la sua guida, a fare il pasticciere. Niente più levatacce, niente più pesi da sollevare e spostare, ma anche un salario ben più sostanzioso e la gratificazione di un artigianato di gran lunga più raffinato. È durato per una quindicina d’anni e poi, stanco della routine, mi sono licenziato. Ho fatto una lunga vacanza. Due mesi a Firenze di chiese, musei e concerti, cercando di capire cosa davvero volevo fare della mia vita. In realtà non si può proprio dire che l’abbia davvero capito, visto come poi sono andate le cose.

Nel frattempo, naturalmente, anzi ovviamente, la politica e qualche amoretto di breve durata.

Il testo su cui mi son formato politicamente? Può far sorridere i marxisti duri e puri e farà ridere un qualsiasi politologo: Socialismo, Anarchismo, Sindacalismo di Bertrand Russell, che non ho mai più riletto. In compenso ho fatto il sindacalista fin da ragazzo e sino alla fine della mia carriera lavorativa, senza essermene mai pentito. Avevo anche liquidato, da privatista e abbastanza rapidamente, la questione licenza media e diploma di maturità, e allora perché non fare un’esperienza universitaria? Medicina veterinaria! in contrasto con tutte le ambizioni e quel poco di talento che credevo di avere. Quindi l’emigrazione a Perugia. Un’esperienza divertente: vivere da studente con più o meno dieci anni di ritardo, in una quieta cittadina di provincia, mentre in giro per il Paese scoppiavano bombe e si sparava. I cosiddetti anni di piombo vissuti in una sorta di dormiveglia. Non mi sono mai laureato in medicina veterinaria, cosa di cui non ho alcun rimpianto. Terminato che avevo all’incirca tutti i corsi propedeutici, senza lode e con una sola vera infamia (avevo fumato una canna prima dell’esame di biochimica, e feci una figura da ebete di cui ancora provo vergogna), si trattava ora come si usa dire di cominciare a sporcarsi le mani: stalle, pollai, canili, ecc. Diciamo che realizzai abbastanza rapidamente e radicalmente di non averne la vocazione, ma temevo anche di finire in un’altra condizione di stallo. Caso (anche come anagramma di caos), fortuna, destino, necessità? Chi lo può dire? Certo non io.

Un coup de théâtre 

e la vita sembra cambiare di colpo, ma forse, molto più semplicemente va avanti.

Senza che facessi nulla di concreto perché la cosa accadesse mi venne proposto di occuparmi di una bibliomediateca dedicata specificamente alle arti performative che si stava tentando di far nascere dentro il teatro cittadino. Non avevo nessun titolo né alcuna competenza per occuparmene, solo una discreta curiosità per il teatro, il cinema, la musica, la letteratura, ma tutto un minestrone da dilettante e del tutto privo di basi solide, che del resto non ho mai veramente acquisito, e in ogni caso mai avrei pensato di far diventare un mestiere quello che era un piacere, un desiderio di capire un po’ meglio, anche se in maniera raffazzonata, come mai stavo al mondo.

Comunque, con un po’ di stupore e tanta faccia di bronzo, da un giorno all’altro smisi con cani, gatti, maiali e vacche, e cominciai a fare il bibliotecario, e sarebbe meglio dire che cominciai a lavorare in una biblioteca, perché il bibliotecario davvero non l’ho mai imparato a fare, cioè tecnicamente parlando di biblioteconomia ne ho assimilata proprio poca. Per più di trent’anni mi son barcamenato tra libri, dischi e videocassette, leggendo, guardando, catalogando a volte, in cambio di uno stipendio, modesto certo ma sicuro e mai sudato. Mi sono parzialmente assolto dalla colpa di aver rubato così a lungo quel modesto stipendio con l’inventarmi la favola che mi pagavano per studiare (in realtà leggere e spigolare tra il libri), e di conseguenza quando era necessario facevo quello che ora, e con formula un po’ trombona, viene detto il bibliotecario di reference, e che nel mio caso significava aiutare giovani, perlopiù matricole della facoltà di lettere, a orientarsi in mezzo ai libri, oggetti con i quali nella gran parte dei casi avevano poca dimestichezza. Ora, e generalizzando impunemente, per quanto posso arguire la relazione studenti/libri, non sembra molto migliorata, ma la cosa non mi riguarda più direttamente, anche se mi dispiace un poco. Tornando al lavoro in biblioteca, si era, da noi almeno, agli albori dell’era digitale e così si dovette informatizzare il sistema e costruire una rete interna che facesse comunicare le poche macchine che avevamo. Due per l’uso interno e due a disposizione degli utenti. Nessuno sapeva dove metter le mani, tecnici e specialisti consultati, visto il software adottato (era gratuito per questo l’avevamo adottato!), davano forfait dopo il primo tentativo. Scoprimmo per caso che la persona più competente sia dal punto di vista biblioteconomico (aveva redatto l’unico manuale d’uso per quel programma) che da quello informatico (stava lavorando all’informatizzazione della biblioteca dell’Università) lavorava a pochi passi da noi. Francesco Dell’Orso (su Francesco vedi: http://www.riccardoridi.it/esb/fdo2016-pangaro.htm, e quindi non mi ripeterò). Francesco risolse tutti i problemi tecnici e diventammo amici. Amava il cinema e veniva spesso da me a prendere in prestito qualche videocassetta da guardarsi a casa con comodo. Fu grazie a Francesco che conobbi Luigi Cimmino.  Filosofo, amante del cinema della pittura della letteratura, cioè di alcune delle cose di cui mi occupavo, diciamo così professionalmente, io. Con Luigi parlavamo di cinema, e spesso uscendo da lezione, suonava alla campanella del mio ufficio, io scendevo e andavamo prima a prendere un caffè e poi, passeggiando in qualche vicolo, a fumare una sigaretta. E parla che ti riparla, quasi solo di cinema, (anche di altro ma poco) era il tempo in cui usciva, postumo, l’ultimo film di Stanley Kubrick e quindi giù a discutere sul film ma anche sulla novella di Schnitzler da cui era stato tratto. Con l’idea di approfondire temi e problemi relativi al rapporto tra le due opere organizzammo un seminario, che seppure non chiarì proprio tanto ci diede l’idea di farne un libro. Coinvolgendo un certo numero di studiosi di diverse discipline, con Daniele Dottorini facemmo il libro, una raccolta di saggi dedicati al confronto tra le due opere, quella letteraria e quella cinematografica. Ne sono seguiti, finora, altri sette. Da oltre una diecina d’anni, con Massimo Capponi, ogni anno mettiamo in rete un paio di numeri di Studi Umbri. Nel frattempo Luigi deve aver pubblicato almeno altri tre o quattro libri, molto più tecnici credo, afferenti alla disciplina di cui è stato docente per lunghi anni, cioè la filosofia, ma con un interesse, e una competenza, che spazia tra una quantità di discipline da fare spavento a un dilettante come me. Chiudo, a giustificare quella che a prima vista (anche alla seconda, forse) può apparire come una banale, frettolosa e un po’ forse presuntuosa nota biografica, chiarendo che il mio unico intento era quello di mettere in evidenza la generosità, non solo intellettuale, di Luigi, perché se mai ho scritto, e pubblicato, due righe che valessero la pena di esser lette è solo per merito suo (o per colpa sua, secondo altro, e magari più obiettivo punto di vista).

Giorgio Pangaro

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