Privacy Policy Il volto segreto di Perugia. Gli oratori barocchi dei gesuiti
Bruna Filippi Vol. 4, n. 1 (2012) Città

Il volto segreto di Perugia. Gli oratori barocchi dei gesuiti

La vocazione al segreto è senz’altro la costante più tenace e duratura nella storia della città di Perugia. Oggi, come ieri, il separare e il dividere, il formulare discorsi in apparenza pubblici ma in verità indirizzati solo a pochi intenditori o iniziati, sembrano radicarsi nella storia della cultura cittadina. Oggi, come ieri, la distinzione dei comportamenti e la sottrazione agli sguardi, l’occultare la presenza ai più per rivelarsi solamente ai pochi scelti, sembrano costituire l’aspetto più radicato nel profondo della vita della città. Non ci vogliamo qui però riferire all’attualità o al passato più recente, a quella proverbiale vis perugina legata alla massoneria e alla sua storia. Vogliamo invece retrocedere fino all’inizio dell’epoca moderna, al Cinquecento e al Seicento, in cui si fonda lo stato moderno attraverso le teorie e le pratiche politiche della monarchia assoluta. Ci riferiamo cioè all’epoca in cui si diffondeva nella società il disincanto del mondo, nasceva la scienza moderna e la nazione territoriale; ma anche all’epoca in cui “il segreto” diventava arte di governo, forma di resistenza culturale nel gioco fra simulazione e dissimulazione, cifra dell’arte in via di emancipazione dal divino.

 

L’arrivo dei gesuiti a Perugia

Nella storia della città, il Cinquecento è stato segnato dalla traumatica annessione allo Stato della Chiesa, mentre nel Seicento si è visto consolidare l’apparato statale che tendeva a conformare modi e forme del vivere sociale.
Subito dopo l’annessione del 1540, il cardinale Fulvio della Corgna, divenuto vescovo della città dopo l’elezione papale dello zio materno Giulio III, chiese al fondatore e primo generale della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, di aprire anche a Perugia un collegio per la formazione dei giovani. Il Collegio Romano –il principale collegio dei gesuiti– era da poco aperto (1551) quando Ignazio decise di accettare la proposta del vescovo e d’inviare in Umbria dieci gesuiti.
Nell’aprile del 1552 lasciarono la casa professa di Santa Maria della Strada e il Collegio Romano un piccolo gruppo di gesuiti, guidati dal belga Everardo Mercuriano, futuro generale della Compagnia di Gesù (1573-1580). Prima della loro partenza, Ignazio stesso aveva preparato per loro una breve istruzione in cui ricordava ai futuri maestri del primo collegio dell’Umbria la rinomata storia dello Studio Perugino (università) e la sua raffinata tradizione letteraria. Per l’apertura della scuola, il fondatore della Compagnia di Gesù consigliava di procedere con prudenza nell’insediamento nella città: proponeva di aprire solo due classi e di iniziare il corso degli studi dai primi rudimenti latini fino alle epistole di Cicerone e dalla grammatica greca e, se fosse stato possibile, anche da quella ebraica. Preveniva inoltre che non si dovesse fare nessun proclama o inaugurazione pubblica, ma chiedeva di cominciare «con pochi [alunni] e quelli che veniranno de mano in mano».
Il 9 maggio 1552 i dieci gesuiti arrivarono a Perugia accolti con grandi onori da un piccolo e influente comitato, composto dal vescovo Fulvio della Corgna, dal Legato della città di Urbino Giulio della Rovere e dal venerabile inquisitore Fra Matteo Lacchi, nonché dai dottori dello Studium Perusinus Guglielmo Pontano e Marcantonio Orandini. Le prime scuole furono aperte nei locali del Vicariato nell’ottobre 1552 e si istituirono solamente le prime tre classi di grammatica; quella di umanità sarebbe stata aperta successivamente quando vi fossero stati alunni ben formati nella morfologia e nella sintassi latina. Nonostante l’immediato successo o forse proprio per quello (visto che nel primo anno si contavano già più di cento iscritti nel nuovo collegio), si sollevarono in città delle rimostranze contro i gesuiti, fomentate dai maestri del Comune che ritenevano i metodi adottati da questi forestieri inadeguati alla formazione della gioventù perugina. L’opposizione alla divisione in classi di età e di apprendimento nella formazione scolastica adottata dei gesuiti (il metodo alla maniera di Parigi, modus parisiensis) non era stata del resto una prerogativa dei perugini. Anche all’apertura dei collegi di Roma, di Napoli e di Bologna, i gesuiti avevano dovuto affrontare i dissensi e le proteste dei responsabili dell’istruzione locale, che si mobilitavano contro l’intrusione di quei forestieri provenienti dal Settentrione d’Europa e contro l’adozione di un metodo così diverso dalle consuetudini italiane.
A Perugia, per dimostrare il buon fondamento del metodo e l’elegante possesso del latino di questi maestri stranieri tanto denigrati quanto temuti, un maestro d’origine francese, il padre Edmond Auger, compose e recitò in Duomo durante le vacanze natalizie un’orazione latina alla presenza di numerosi dottori e studenti dello Studio Perugino. Dopo pochi giorni, alcuni alunni scelti del collegio recitarono pubblicamente anche un dialogo in lode agli studi, suscitando ammirazione e consenso unanime negli ascoltatori. Durante le feste pasquali, il maestro Auger tenne ancora un’altra orazione e gli alunni a loro volta si produssero in un lungo dialogo nei locali dell’antica Confraternita del Salvatore – locali che il vescovo aveva appena destinato per il nuovo collegio. Motivo del conflitto locale contro i gesuiti fu peraltro anche questa decisione vescovile, in quanto l’antica Confraternita era stata fino a quel tempo incaricata dell’istruzione dei giovani dai Magistrati al governo della città. La scelta del vescovo di affidare ai gesuiti gli stessi locali della Confraternita, sopprimendo così le antiche istituzioni e consuetudini cittadine, fu percepito inevitabilmente come un segno tangibile dell’inaugurazione nella città del nuovo corso della politica accentratrice dello Stato pontificio.
Secondo gli intenti del fondatore sant’Ignazio, la Compagnia di Gesù si doveva dedicare solamente alla formazione superiore e richiedeva agli alunni per potersi iscriversi alle loro scuole di possedere già una formazione di base, di saper cioè leggere e scrivere in latino. L’intero e regolare corso degli studi comprendeva dunque tre classi di grammatica, una classe di umanità e due classi di retorica. A Perugia, su richiesta dei rappresentanti del Comune, si chiese ai gesuiti d’impegnarsi anche nell’istruzione primaria. Fu quindi istituita, nel 1557 e solo per tre anni, la classe degli “abbecedari” in cui s’impartiva una formazione elementare. L’aver accettato di costituire questa classe, anche contro le decisioni dei superiori romani, dimostra quanto i gesuiti fossero cauti e non volessero entrare in conflitto con le istanze locali. Un atteggiamento di prudenza che si evince anche dal tardivo inserimento della classe di greco nel collegio perugino, la quale venne inserita solamente alcuni anni dopo, quando i giovani formati dai gesuiti furono in grado di seguirne i corsi con profitto. La diffidenza, o meglio l’ostilità, nei confronti dell’attività pedagogica dei padri gesuiti da parte dei docenti perugini, si dissipò quindi abbastanza rapidamente, mentre, come ci informa il padre Polanco, gli studenti iscritti erano –nel 1556– già 180 e nel corso di quell’anno sarebbero saliti a più di 200.

Chiesa del Gesù, Perugia
1 La Chiesa del Gesù di Perugia

 

Accanto alla normale attività d’insegnamento nel collegio, i gesuiti assunsero altri impegni nella vita intellettuale della città. Nel 1555, la proposta del giurista dello Studio Marcantonio Orandini d’incaricare come lettore straordinario di lettere umane nell’ateneo perugino il padre messinese Giovanni Antonio Viperano, fu accolta. Il Viperano aveva del resto già conquistato nella città una discreta fama come fine umanista, per aver tenuto un’orazione nel Duomo e per aver composto un dialogo in versi recitato dagli alunni del collegio. Le sue lezioni di umanità nel collegio erano peraltro frequentate oltre che dai suoi studenti da numerosi auditori esterni «fra i quali si notavano non solo i nobili di Perugia, ma anche forestieri, come il nipote del cardinale Farnese, i nipoti di papa Marcello […]». Oltre al prestigioso incarico all’università del Padre umanista, i gesuiti si rendevano disponibili anche ad altre attività private d’insegnamento: lo provano le lezioni a domicilio (per esempio, quella del giovane scolastico gesuita Marco Valdés per i figli di Laura Della Corgna), come anche alcune lezioni di diritto canonico, di teologia o di filosofia, tenute su richiesta del cardinale Della Corgna.
Nel giro di pochi anni, l’impegno nell’istruzione superiore dei gesuiti nella città di Perugia non trovò più un atteggiamento ostile da parte dei perugini, ma al contrario suscitò nei loro confronti una stima e un generale apprezzamento per il loro operato, soprattutto nelle “cose letterarie”. Il collegio di Perugia fu frequentato assiduamente, almeno fino alla metà del Seicento, sempre da più di un centinaio di studenti. Superati quindi i primi dissidi, la Compagnia di Gesù assunse con generale soddisfazione l’incarico di formare le élités della città, rimanendovi fino alla sua soppressione nel 1773.

 

Il complesso architettonico Chiesa-Casa-Collegio
Non solo i gesuiti furono i grandi riformatori del sistema scolastico della prima modernità, ma modificarono la concezione secolare del convento e della chiesa degli antichi Ordini Mendicanti. Le sedi della Compagnia di Gesù non vennero infatti chiamate conventi, ma Case. La Casa è il luogo dove vivono in comunità i gesuiti, che sono prima di tutto dei compagni e non dei frati o dei sacerdoti: composta dai Padri e dai Fratelli, dai novizi e dai compagni laici, la comunità gesuitica si è sempre dedicata nelle loro case professe alla formazione dei giovani novizi. Questi ultimi e i giovani compagni laici vengono infatti affratellati da un’educazione impartita in comune da insegnanti chiamati Padri, coadiuvati dai Fratelli che, anche senza aver preso gli ordini sacerdotali, costituiscono il vero braccio operativo della Compagnia. I gesuiti, secondo l’intento del fondatore sant’Ignazio, non dovevano vivere nel silenzio del chiostro ma immergersi nel rumore del mondo.
Per ottemperare a questa scelta di fondo, la Compagnia di Gesù s’insediava nelle città costruendo un insieme architettonico composto dalla compenetrazione di tre complessi edilizi: la Chiesa, la Casa professa e il Collegio.
La compenetrazione fra questi tre edifici, dove si univano l’impegno religioso, l’istruzione e la vita comunitaria, era profondamente legata alle necessità e alle concezioni dell’apostolato gesuitico nel mondo. Adottando i principi del concilio tridentino, secondo il quale bisognava dare nuovo impulso alle pratiche religiose, i gesuiti crearono nuovi spazi e diverse forme di partecipazione per le pratiche di devozione. Questo ha significato anche l’introduzione di una diversa concezione architettonica della chiesa.
L’antico impianto a tre navate con transetti laterali per le cappelle della chiesa, che era stato adottato dagli Ordini Mendicanti, venne così sostituito con una sola navata e il transetto ristretto alla stessa larghezza della navata. Nello schema gesuitico della chiesa, le cappelle vengono quindi già preordinate lungo l’unica navata, permettendo in tal modo di non stabilire separazioni altimetriche fra la navata e il presbiterio. Si rispettava in tal modo il dettato del concilio tridentino che accentrava l’attenzione dei fedeli sull’altare maggiore e regolava la gerarchia dei culti: al centro, solo il culto dovuto a Dio; ai lati, il culto degli angeli e dei santi; nella prima cappella del transetto, il culto della Vergine. Nella chiese dei gesuiti era stato abolito anche il coro e le grandi funzioni religiose si svolgevano nella grande navata per il pubblico, mentre si aggiungeva una zona riservata ai Padri attraverso i coretti e le tribune che costituivano un’interfaccia fra la casa e la chiesa, eliminando così l’antica separazione fra la chiesa e il convento voluta dagli Ordini Mendicanti. La funzione di questi coretti era di consentire un accesso alla chiesa immediato, benché riservato, dall’abitazione e dalle aule scolastiche del collegio, su di un livello che non era quello dei comuni fedeli ma superiore. All’interno della chiesa si realizzava così un piano di elezione, posto al di sopra dei fedeli e dello stesso officiante, in cui veniva a locarsi lo spazio privilegiato ed elevato dei Padri e dei loro allievi.
La casa e il collegio si prolungavano dunque nella chiesa attraverso gli “affacci” dei coretti, che avvolgevano la maggior parte del perimetro mediante vari corridoi di collegamento. L’edificio era perciò concepito a doppia scatola: quella interna ad uso dei fedeli e degli officianti, e quella esterna ad uso dei Padri e del nuovo ceto dirigente in formazione nei collegi.
A Perugia, l’assegnazione del sito per la costruzione del complesso architettonico Casa-Chiesa-Collegio dei gesuiti non fu di facile scelta. All’inizio i Magistrati e i Priori della città avevano individuato un’area in Porta Eburnea, che però venne scartata dai gesuiti in quanto sconveniente per la gioventù, essendo quel rione «un luogo infame e già da molti anni assegnato per il brutto affare a donne infami». Allora il vescovo Della Corgna decise di assegnare loro un sito nella piazza del Sopramuro, accanto al palazzo del Podestà e contiguo agli antichi granai, proprio negli spazi dell’antica Confraternita del Salvatore anch’essa dedita alle scuole. Il cardinale Della Corgna convinse i magistrati «che donando tal luogo ai padri haverriano in luogo di un maestro acquistato tre maestri i quali non solo con le buone lettere grece et latine haverriano ammaestrati i loro figlioli, ma anco con l’esempio de vita Christiana e santi costumi».
Per favorire la nuova costruzione, il vescovo acquistò tre botteghe a Messer Andrea e assegnò ai gesuiti l’antico macello della città, detto Campione. Il nuovo ordine insegnante s’insediò quindi nell’importante piazza del Sopramuro, luogo deputato del potere e della cultura cittadina in cui si trovavano anche i prestigiosi palazzi del Podestà e dello Studio perugino.
Demolite le botteghe e spianato il sito, i lavori iniziarono il 4 maggio 1562 con la deposizione della prima pietra. I lavori furono assegnati al Fratello architetto Giovanni Tristano che giunse a Perugia nel luglio del 1561, accompagnato dai padri Lainez e Polanco. Contattato già in precedenza dal vescovo Della Corgna per i lavori di restauro del vescovato, il Tristano propose al presule perugino un progetto completo, comprensivo della chiesa, del collegio e della casa professa. Accettato il progetto e stabilito il finanziamento, i lavori iniziarono incontrando grandi problemi per lo scavo della facciata e le asperità del terreno. Fu per questi motivi che infine la chiesa venne inaugurata solamente il 7 ottobre 1571, lo stesso giorno della grande vittoria della armata papale contro i turchi a Lepanto.

Interno Chiesa del Gesù
2 Interno della Chiesa del Gesù di Perugia

 

La chiesa di Perugia fu una delle prime chiese gesuitiche ad essere costruite in Italia, costituendo un esempio singolare di transizione fra l’antica e la nuova concezione tridentina. Infatti, venne qui proposto uno schema costruttivo a tre navate, un modello infrequente nell’architettura gesuitica. Il suo interesse specifico è dovuto al fatto che questo schema dette origine a coretti profondi quanto le navate laterali cui erano soprapposti, costituendo così un ampio spazio per i Padri e gli allievi.
Come accadde altre volte nei primi insediamenti gesuitici, la capienza della chiesa si rivelò insufficiente per la grande affluenza di devoti, dovuta al successo crescente che la Compagnia ebbe nella città. A partire dal 1586 la chiesa venne quindi ampliata e completata con un’imponente abside quadrata, ideata dal De Rosis e realizzata da Valentino Martelli. Creato con un’audace struttura a strapiombo sulla rupe sottostante, l’ampliamento absidale permise di realizzare anche delle sale sovrapposte facilitate dal grande dislivello fra il piano della chiesa e quello delle fondazioni dell’ampliamento. Nell’epoca in cui l’azione della Compagnia nella società perugina si era consolidata, anche attraverso il programma educativo indirizzato principalmente agli alunni di famiglie nobili, si pensò di utilizzare lo spazio sottostante l’ampliamento absidale per sistemarvi le tre sale delle diverse Congregazioni mariane. Denominate Oratori, la costruzione di queste sale fu ultimata nel 1613, le quali furono affidate a tre diverse congregazioni: la Congregazione dei nobili, la Congregazione dei mercanti e la Congregazione dei coloni.
Il generalato del padre Claudio Acquaviva (1581-1615) ha significato, com’è noto, la diffusione dell’impegno apostolico dei gesuiti al di là dell’istruzione dei giovani nei collegi, indirizzandosi verso la formazione delle diverse componenti sociali presenti nelle città. Nel corso del Seicento, con la promozione di forme d’istruzione religiosa particolari ed inerenti ai differenti ceti della società (ad status), si fondarono le Congregazioni mariane. Secondo la tradizione, fu il padre Jean Leunis nel 1563 ad incominciare a riunire al termine delle lezioni per gli esercizi devozionali i migliori allievi del Collegio Romano, creando così la prima Congregazione mariana. Il generale Acquaviva incoraggiò questa istituzione e nel 1587 stabilì che la Congregazione del Collegio Romano divenisse la Prima Primaria, alla quale tutte le altre Congregazioni fondate o in corso di fondazione avrebbero dovuto obbligatoriamente essere affiliate.
Anche a Perugia l’influenza della Compagnia di Gesù non si limitò quindi solo all’ambito dell’istruzione, ma si organizzarono diverse Congregazioni secondo il ceto sociale di appartenenza. Come luoghi d’incontro fra i diversi sodales furono costruiti questi Oratori, luoghi tradizionali di preghiera ma che finirono per diventare dei veri luoghi di formazione culturale e d’identità collettiva. Negli Oratori si riceveva un’istruzione religiosa adeguata al proprio ceto sociale, riferita non solamente alla perfezione individuale ma anche alle regole di vita convenienti alla propria posizione nella società: oltre ad un’intensa attività religiosa per la perfezione cristiana di ognuno, collettivamente e in perfetta unione fra i sodales, si praticavano il proselitismo e si organizzavano le opere di carità.
Come abbiamo detto, a Perugia furono edificati tre Oratori distinti e sovrapposti in verticale l’uno sull’altro. Sotto il presbiterio e con le stesse dimensioni fu ricavata una sala per l’Oratorio dei nobili, alla quale si poteva accedere da una scala riservata che discendeva direttamente nel lato destro della chiesa. Si trattava di un’ampia sala affrescata con alcuni fregi e con un piccolo ritratto di S. Ignazio nell’arcone centrale della volta. Sotto di essa furono edificate altre due sale di eguali proporzioni: la prima accessibile da una scala situata sulla sinistra del presbiterio e separata dalla precedente, adibita a Oratorio dei mercanti; e infine, al piano terra, con ingresso esterno e con accesso diretto dall’orto del collegio, la sala della Congregazione dei coloni. Si realizzò in definitiva un singolare edificio a quattro piani nel quale trovarono ordinata collocazione gli strati sociali del tempo: una complessa struttura che si costituì letteralmente come specchio razionalizzato della distribuzione piramidale delle funzioni mondane, direttamente sotto lo spazio delle sacre funzioni.
La chiesa di Perugia, nella sua singolarità, acquista un valore e un significato di grande interesse, perché la gerarchia dei ceti sociali resta accorpata nel corpo stesso della chiesa. Le tre grandi sale finiscono per costituire tre grandi cappelle aggiuntive, riccamente dotate dagli assegnatari secondo le proprie risorse, con volte a crociera affrescate e altari di grande pregio, come quello dei mercanti di ebano e avorio. È da notare che anche nelle due sale dei nobili e dei mercanti si volle applicare il tema dei coretti, in quanto al centro della sala e in comunicazione con i primi gradini della scala di salita al presbiterio è sistemato un palco affacciato verso l’altare addossato alla parete opposta: evidentemente per personaggi di particolare rilievo laici o ecclesiastici che partecipavano senza essere visti alle riunioni dei sodales.
Questi tre Oratori sovrapposti furono costruiti all’inizio dell’epoca moderna, in quel periodo barocco in cui in tutta l’Italia le nuove oligarchie cittadine elaboravano complessi cerimoniali basati sull’apparenza e l’ostentazione del proprio rango, mentre le città si abbellivano di monumenti ingegnosi e le piazze venivano ridisegnate con architetture curiose. A Perugia si costruivano invece dei luoghi appartati e dissimulati agli sguardi dei passanti. Senza alcuna facciata o insegna che potesse rivelare all’esterno la loro esistenza, si edificarono questi Oratori presso la Chiesa del Gesù, una rara e singolare testimonianza di come l’architettura barocca potesse spaziare dall’esibizione al suo stesso nascondimento.
Forse sta qui l’origine o l’alibi del totale oblio che ha colpito questi luoghi, perpetuato anche nelle più recenti erudite ricostruzioni architettoniche della prestigiosa piazza del Sopramuro: gli Oratori stanno a testimoniare nella loro collocazione e forma dissimulata, quanto la modernità della vita della comunità cittadina sia fondata sulla distinzione e sul principio di appartenenza ad un gruppo, ad una famiglia o ad una cerchia ristretta di persone. E, come si sa, lo spirito di appartenenza e l’identità significano prima di tutto separazione, riservatezza e messa a distanza di coloro che sono portatori di qualunque alterità, come la stessa etimologia di segreto indica: un separare che crea relazioni esclusive.
Sicuramente i gesuiti, in quanto ordine religioso difensore e promotore della cultura pos-tridentina, hanno facilitato e promosso questa cultura della distinzione. Certo che, da quando i gesuiti hanno lasciato Perugia, la leggenda nera dell’antigesuitismo ha trionfato a tal punto che anche le tracce architettoniche, i luoghi della loro permanenza e del loro operato sono diventati un rimosso collettivo, come è avvenuto del resto per tutto il periodo della prima modernità perugina, vista principalmente nella prospettiva dell’occupazione papalina.
Gli Oratori sono diventati allora luoghi chiusi e non visitabili, dimenticati e destinati all’oblio per tutti i cittadini. Sono diventati anch’essi un segreto, accessibile solo per quei pochi che apprezzano e amano Perugia e la sua storia.

 

Bruna Filippi, storica della prima modernità, le sue ricerche vertono sulla storia della retorica e del teatro della Compagnia di Gesù nel Seicento, e sulla storia dell’emblematica (XVI-XVII sec.). Ha pubblicato Il teatro degli argomenti (Institutum Historicum S.I., Roma 2001).

 

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