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Letteratura e lingua italiana nel Novecento

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Come lettore piuttosto “forte” di opere letterarie, nel senso appunto che dedico una buona quantità di tempo a questa bella attività, mi sono spesso chiesto se la lingua italiana costituisca o meno un particolare “problema” per gli scrittori che la utilizzano, un problema che sarebbe presente in modo meno marcato in altre lingue. Non essendo affatto un esperto la mia è solo un’impressione, non giustificata da assunti teorici. Eppure alcuni amici stranieri spesso confermano la sensazione. Osservando, per fare un esempio, che la lettura di The Custom of the Country di Edith Wharton, del 1913, produce certamente nei lettori di madre lingua contemporanei sforzi di comprensione semantica e di adeguamento estetico dovuti a vocaboli ora desueti, a mutati registri linguistici e a sviluppi grammaticali, ma sottolineando allo stesso tempo che tali sforzi sono minimi rispetto al permanere essenziale della lingua e delle sue risorse, non certo tali da pregiudicare il pieno godimento dell’opera a un buon lettore di cultura media. Ebbene, la mia impressione è appunto che tali sforzi, in italiano, debbano essere moltiplicati, e non poco. Senza risalire al 1913, romanzi e racconti degli anni ’50 e ’60 mi appaiono oggi così pieni di differenze rispetto alla lingua attuale da impegnarmi come lettore molto più di quanto accade alle controparti inglesi, tedesche, francesi ecc. con la loro letteratura. Ma ha un fondamento tale impressione? E, se lo ha, in che consiste? Nella distanza nel nostro paese – così mi veniva detto al liceo – fra la lingua letteraria e lingua parlata? Le ragioni sarebbero quindi essenzialmente storiche? Ed è forse per questo che scrittori di livello – come Gadda o Landolfi, ma la lista è lunga – hanno sentito il bisogno di rendere intenzionalmente artificioso l’italiano delle loro opere? Ed è magari la carente consapevolezza della necessità di un serrato “corpo a corpo” con lalingua, di un costante bisogno di innovazione,una delle cause della decisa caduta di livello (ovviamente altra impressione mia) del romanzo italiano?

Ho rivolto con timore domande del genere a un amico e collega quale Stefano Giovannuzzi, che dello studio della letteratura contemporanea (italiana e comparata) ha fatto la sua professione e lui, più che gentilmente, invece di invitarmi a “lasciar perdere”, si è impegnato a organizzare il dossier che segue. Lo ringrazio di cuore come ringrazio Edoardo Zuccato, Federico Fastelli, Giovanna Lo Monaco e Francesco Brancati per i loro contributi. Ho scritto queste righe prima di leggere il dossier, sicuro, a lettura finita, di poter capire a riguardo molto in più di quanto capisco ora: ovviamente quale che sia la risposta alla mia impressione.

Luigi Cimmino

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